4. Nessuno tranne me

 

© Irina Boicova, 2020.
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Nei giorni seguenti lo Spirito Immortale dovette trattenersi al sud. I CobraSanguinari avevano avuto ragione sul volgere l’attenzione alle Sacerdotesse. Le quali, infatti, avevano riconquistato ben quattro sobborghi a ovest e se Gradrisar non le avesse fermato, sarebbero riuscite a isolare il suo regno dal resto del mondo. C’era parecchio da discutere sulla mossa da fare, motivo per cui tutti i capi delle casate riunite sotto il regno dello Spirito Immortale si erano radunati nella sala del trono a vociare molto più del normale.
«La città di Zarosia è fondamentale, vi dico!» tuonava la voce possente di Fugraza, il capo dei VeleniMortali. «Era l’avamposto della loro confraternita e sicuramente il luogo in cui custodiscono tutt’oggi talismani e amuleti di ogni sorta!»
«La torre delle Ali Nere è stata perquisita da cima a fondo non appena la conquistammo» protestò il tanto alto quanto largo Girmaga, della casata UltimoFuoco.
Non ha mai fatto amicizia con nessuno, pensava intanto lo Spirito Immortale, per evitare che qualcuno cadesse nelle mie mani a causa sua.
«Perché, credete forse che le Sacerdotesse non abbiano mille modi per celare i loro manufatti? Ma andiamo, quelle mettono mani nel futuro e nel passato. Scommetto cento monete che sapevano di perdere contro la nostra orda, prima ancora che noi sapessimo di doverci andare!»
«E hai ragione, perché hanno deciso di riconquistare la città se non per tornare alla torre Ali Nere, ah?»
In effetti, non avrebbe avuto senso avere rapporti con qualcuno, sapendo di avere vita breve, proseguiva Ragdad nei suoi pensieri.
«Quale che sia il motivo non possiamo cedere la città di Zarosia, ci taglierebbero i rifornimenti dei SciacalliViandanti».
Dunque è per questo che è sempre rimasta da sola, giunse alla sua conclusione Ragdad.
«Che crepino gli Sciacalli e le loro scorte. Se quelle tornassero alla torre Ali Nere, saremo nei guai ben peggiori!»
Che ragazza furba, pensò, facendosi scivolare un sorriso. Triste, ma anche molto furba.
I presenti dovettero notare la sua espressione perché tacquero all’istante. Gradrisar si erse in tutta la sua statura con il fumo nero che lo avvolgeva e faceva rizzare i capelli dei suoi leccapiedi.
«Blocchiamo le Sacerdotesse prima che possano raggiungere la torre Ali Nere» tuonò nella sala in cui vibrarono persino i tavoloni di marmo.
***
Per i seguenti quattro giorni la città di Zarosia fu il fulcro della battaglia tra l’esercito nero dello Spirito Immortale e quello rosso delle Sacerdotesse. Se, durante la prima conquista, la città era stata devastata, questa volta tre quarti dei palazzi furono abbattuti. Un pugno di profughi fu ciò che rimase della popolazione. Per le strade i rivali erano costretti a battersi sui cadaveri. Chi scivolava sul sangue rischiava di spaccarsi la testa sulle macerie. Altri poggiavano male il piede su pietre che si sgretolavano. Quando Gradrisar osava spostarsi o far il minimo movimento la terra tremava, così che anche i muri superstiti si decidevano a crollare.
Ormai la lotta era sul finire. L’esercito nemico che era riuscito a raggiungere la torre Ali Nere era stato dimezzato. I pochi a fare da barriera non erano che mosche davanti a un predatore spaventoso e quel predatore si stava per abbattere su di loro. 
Lo Spirito Immortale Più Potente Di Tutti I Tempi avanzò tra le ali del suo esercito, il quale, nonostante le perdite subìte, era rimasto in netto vantaggio numerico. I passi vibranti del mostro erano seguiti dal tintinnio delle armature. Quando Gradrisar si faceva troppo vicino ai suoi alleati, questi erano inghiottiti dalla sua energia nera. Li sentiva trattenere il respiro sotto la carica potente del fumo.
Avanzò fino alla scalinata della torre. Era abbastanza alto da sovrastare tutti i gradini, tanto che la cima delle scale risultò trovarsi all’altezza dei suoi occhi ardenti. Lì una ventina di soldati vestiti di rosso stringevano le armi nelle mani tremanti, ma non osavano muoversi. Al centro della loro fila cinque Sacerdotesse vestite di tuniche nere e rosse, ormai logore e strappate, alzarono il mento. Segno che non solo non avevano paura del mostro, ma che lo sfidassero pure. Gradrisar sogghignò; il coraggio dei disperati era tutto tranne che noioso.
Una di loro ruppe la fila per avanzare di un passo. Ma quando iniziò a parlare, l’attenzione di Gradrisar andò altrove. Il nucleo della ragazza, di Akira, era stato scosso.
«Gradrisar, potente Spirito Immortale» tuonò la Sacerdotessa, «il mio nome è Rugiada d’Ossidiana e sono io adesso la Sacerdotessa Suprema di Gorengrud!»
L’energia di Akira svanì del tutto dal suo nucleo. Era sicuramente impegnata in una lotta e non le stava andando per niente bene.
«Questo luogo, la torre Ali Nere, appartiene a noi. Qui è la dimora del creatore di tutti i Demoni e delle loro terre, del Dio Gorengrud, padre dei Mortali e degli Immortali come te».
Non riesci proprio a stare lontano dai guai, mocciosa?, sbottò Gradrisar digrignando i denti. Maledetto sacco di pulci, se non la proteggi a dovere ti squarto pelo per pelo!, aggiunse, anche se Koko non avrebbe mai potuto udirlo così lontano.
«E io, Rugiada d’Ossidiana e Sacerdotessa Suprema, sono l’unico essere vivente a poter udire la sua voce in questo luogo sacro! Per questo dovrete andarvene dalla Dimora del suo Spirito! Adesso!»
«Questa non è la dimora dello Spirito di Gorengrud!» ruggì Gradrisar in risposta.
Mi spiace ragazzina, ma per una volta ti tocca arrangiarti da sola.
Aveva già evocato la sua energia: migliaia di scie nere sfrecciarono dalla sagoma dello Spirito Immortale. Ciascuna schioccò nell'impatto per poi dissolversi in una nube di fumo nero. Motivo per cui nell’istante seguente nessuno poté vedere se tutte erano andate a segno. Lo stesso l’esercito nero esultò.
Gradrisar diede le spalle alla torre. Avrebbe lasciato il resto del lavoro ai suoi scagnozzi. Lui aveva altro da fare, adesso. Ma non aveva ancora compiuto un passo che comparve un bagliore nella notte. L'esercito nero si ammutolì.
La torre era stata avvolta da una lastra di luce bianca come un vetro luminoso che si ergeva dalle fondamenta e attraversava la struttura in tutta la sua altezza, fino a sparire in alto nel cielo. Le Sacerdotesse, tranne la Suprema, si erano sfilati i cappucci da cui erano ricaduti capelli color platino e argento. Avevano proteso le mani in avanti per alimentare la barriera. Dai baluardi della torre si affacciarono altri Angeli. Dieci, venti, trenta, quanti sono?, perse il conto lo Spirito Immortale.
«Rugiada d’Ossidiana» scandì il suo nome con estrema lentezza, lasciando che le anime divorate ripetessero in un sussurro infinito ogni singola lettera.
Piccola Mortale da quattro soldi.
«Devo ammettere che mi hai stupito» proseguì contro la luce fastidiosa degli Angeli.
Traditrice del tuo stesso sangue.
«Pur di riuscire a vincermi, proprio tu che possiedi il dono di ascoltare il Dio Gorengrud ti sei abbassata al punto di allearti con gli ANGELI, nostri nemici naturali fin dalla Genesi?».
Sudicia peccatrice.
«Hai raccolto sotto la tua protezione i figli di SELIS?» e con ciò gridò talmente forte il nome della dea degli Angeli, che la torre stessa mandò dei crepitii.
Aspetta che Gorengrud metta le mani sulla tua anima pezzente!
«Tutte le mie azioni» rispose la Sacerdotessa, «sono rivolte alla salvezza di Gorengrud! Sarà lui a giudicarmi, e stanne certo Spirito Maledetto, che lui approverà ogni mio gesto!»
Ma di sicuro Gradrisar non approvò e glielo fece ben capire. Diede fondo a tutta la sua energia per abbattere la barriera bianca. I Demoni sapevano che non era saggio avvicinarsi all’energia angelica, alla quale erano vulnerabili. Perciò i suoi alleati cercarono un varco scoperto per accedere alla torre, ma non ebbero successo e neanche lo Spirito Immortale Più Potente Di Tutti I Tempi riuscì a recare un minimo danno alla lastra di luce. Solo quando la notte ebbe fine e la torre sprofondò su se stessa, decise di mollare la presa. Sì, la torre era crollata per metà della sua altezza, ma il resto dei piani e le fondamenta restavano ben protetti all’interno della barriera.
«Ebbene, Sacerdotessa Suprema» le ringhiò contro, «la torre è tua adesso, o quel che ne resta».
***
Sulla collina che si affacciava sul villaggio di Rediga, dentro un boschetto naturale di pini, si ergeva una modesta dimora di pietra recintata da assi di legno. Ragdad si recò all’entrata di quella casa isolata e batté tre volte fino a che la porta cigolò per aprirsi.
«Cerco una ragazza» sputò senza perdere tempo. «Viaggia con un lupo nero, l’ha vista?»
L’anziana donna strabuzzò gli occhi al tono tanto brusco, ma dovette capire la sua emergenza perché si scostò, un poco intimorita, e gli fece segno all’interno.
Ragdad raggiunse lo stanzone con tre larghi passi, ignorando l’altro vecchio che abbassò il capo al suo passaggio. Lo lasciarono entrare nella camera in cui aleggiava un’aria grave e pesante. Koko si limitò a sollevare gli occhi per poi chiuderli di nuovo. Stava sdraiato sulle gambe di Akira, la quale giaceva sul cumulo di paglia che fungeva da letto.
«Viaggiavate insieme?» fece con mezza voce l’anziana alle sue spalle.
Ragdad si voltò un attimo a guardarli. Si chiese se avrebbe dovuto ucciderli. Erano due vecchi vissuti per abbastanza tempo, forse in solitudine, ma probabilmente no. Il letto di paglia sarà stato di un loro figlio, o figlia che fosse, che magari una volta sposatesi si sarà trasferito altrove. I loro visi rugosi dagli occhi lucidi in quel momento non portavano ricordi di gravi dolori. Sembravano aver avuto una vita serena.
«Dava la caccia a un mostro che ci tormentava» proseguì la donna con la tipica voce di chi ormai fatica a respirare e produrre parole allo stesso tempo. «Purtroppo è rimasta ferita. L'abbiamo portata dentro per curarla, ma…»
Ragdad a quel punto sbatté la porta in faccia ai due vecchi. Rimase un istante nello stanzone buio. Il suo respiro era talmente pesante che faticava a mettere insieme due pensieri coerenti. Sovrastò la ragazza. I capelli si erano incollati sul viso sudato. Le labbra erano screpolate, gli occhi chiusi. Nel complesso non aveva l’aria di chi soffriva, piuttosto di chi, dopo tanti incubi, era riuscito a prendere sonno. Sul petto le si era creato un impasto di sangue, fango e stoffa. Tale, da celare alla vista la gravità della sua ferita.
«Da quando tempo?» sussurrò al nulla. Pareva che anche il suo di sangue fosse andato via mentre piegava il ginocchio per accostarsi al viso della ragazza.
Undici minuti, rispose il lupo nella testa dello Spirito Immortale.
Akira era morta per gli undici minuti del suo ritardo.

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