2. Il suo nome

© Irina Boicova, 2020.
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Quel mostro che aveva sembianze di un bruco gigante verde acido e tutto coperto di bava era talmente insulso che lui, conosciuto come lo Spirito Immortale Più Potente Di Tutti I Tempi, non avrebbe nemmeno degnato di uno sguardo. Invece era lì a guardare la lotta in cui il bruco era impegnato e che, a veder bene, stava pure perdendo.
Si batteva contro una ragazzina dai lunghi capelli corvini e riflessi violacei. Gli occhi viola come prugne seguivano i movimenti del mostro, tranne quando diedero il segnale al lupo nero. Quello balzò sul fianco del nemico immergendo le zanne nel collo del bruco. Allora la ragazzina fece schioccare la sua energia magica. La scia violacea sfrecciò dalle sue mani abbattendosi sul corpo del mostro. La bava sporcò il prato. Il bruco si contrasse, sibilò per il dolore e la rabbia. Poi si afflosciò sull’erba e smise di respirare.
«Bravo Koko!» la ragazzina si gettò sul pelo sbavato del lupo. Quello tutto contento per aver svolto bene il suo lavoro le leccò il viso. Lei provò a ripararsi, ma così facendo ottenne una bella linguata sui capelli.
«Bah» sbottò Ragdad schifato, ma non si mosse fin tanto che la ragazzina e il suo lupo non se ne furono andati. Quindi scese volteggiando dalla cima dell’albero su cui si era appostato. Girò intorno al bruco. Era classificato come creatura di classe B+, uno di quei mostri che Ragdad non avrebbe osato nemmeno divorare, tanto li considerava insignificanti.
«Fino all’anno scorso non era capace di toccare un classe C» pensò a voce alta. Gli sfuggì un sogghigno. «Sta proprio migliorando».
***
Era raro che la ragazzina e il suo lupo nero si avvicinassero ai centri abitati. Ma di tanto in tanto ne facevano tappa per acquistare il necessario per il viaggio, scambiare il bottino con il denaro e assumere missioni per scovare altri mostri. Ragdad nella sua forma di Spirito li seguì nel villaggio chiamato Siron, un piccolo sobborgo di pietra sulla riva del fiume Acquagrigia. Era la stagione del vento: gli alberi si erano tinti di arancione e quando tutte le foglie sarebbero cadute, il gelo avrebbe ghiacciato il fiume. Per cui era il periodo dei mercati, un’occasione per fare provviste per i prossimi giorni di neve.
«Cosa ne dici Koko? Andrà bene questo mantello?» diceva la ragazzina, rigirandosi tra le mani incrostate di bava una mantella di un nero scolorito. Il lupo piegò la testa, ma come sempre accadeva quando lo Spirito era nei paraggi, il pelo sul dorso si rizzò.
«Ragazzina, andrà benissimo!» canticchiò il mercante. «Pensa che costa solo due monete. Tiene tanto, tanto caldo. Ed è solo di terza mano!»
Un ringhio soffocato venne in risposta dal lupo di nome Koko. La ragazza si voltò a guardarlo.
«Azzardati a ringhiare ancora, sacco di pulci» minacciò Ragdad dal Mondo degli Spiriti, «e vi squarto a tutti e due qui stesso!».
A quelle parole il lupo guaì. La ragazzina lo guardò curiosa prima di riportare la sua attenzione al mercante.
«Due monete per un manto di terza mano?»
Ragdad lanciò un’occhiataccia al lupo. Quello, se pur avesse ancora il pelo teso e le orecchie tirate all’indietro, non lo ricambiò.
Sacco di pulci, pensò il Demone tra sé. Se Koko fosse stato un lupo normale, non avrebbe percepito la presenza dello Spirito invisibile. Koko appunto normale non era. Era una Creatura Divina, il cucciolo di una lupa indemoniata che la ragazzina dagli occhi viola era riuscita a sconfiggere l’anno precedente. In realtà, ragionò Ragdad, se non fosse stato per lui, sarebbe finita sbranata. Ma non poteva permettere che accadesse. Così era stato costretto a intervenire. Aveva lanciato la sua energia un istante prima che arrivasse quella magica di lei, giusto per non farsi scoprire. La lupa era crollata a terra e il suo cucciolo aveva così deciso che quella ragazza sarebbe stata la sua padrona.
«Ragazza, mia cara, da questa parte» una vecchia vestita di stracci si aggrappò al suo braccio. «Sei una Magica, vedo. Vieni nel nostro emporio, abbiamo fantastici amuleti della tua terra natia! Vieni, mia cara, non avere paura».
La ragazzina la guardò con dubbio. Ragdad seguì il suo sguardo sull’insegna dell’emporio: “Occhio del Futuro” recitava la scritta incisa a fuoco nel legno. L’ingresso era una porta malandata e la vetrata era rattoppata da assi di legno inchiodati.
«Guardi, avrei da fare» protestò la ragazza.
«Ma cosa mai avrai da fare?» piagnucolò la vecchia.
Non è il genere di posto in cui andrebbe, pensò Ragdad.
«Non vuoi conoscere il tuo futuro, mia cara?» non si lasciò sconfiggere la vecchia.
«Conosco già il mio futuro» rispose seria la ragazza.
«Allora vieni a vedere se è vero».
Detto ciò la vecchia la spinse verso la porta. Lei roteò gli occhi esasperata, però fissò l’insegna e infine fece segno al lupo di seguirla. Ragdad sbuffò, ma li seguì di rimando.
«Da questa parte, vieni mia cara, vieni» canticchiava la vecchia facendosi largo in un corridoio stretto tra scaffali stracolmi di robaccia. «Ecco, c’è mia sorella Osmelia, dietro questa porta, famosa in tutta Gorengrud, mia cara. Per una sola moneta leggerà il tuo futuro!»
«Conosco già il mio futuro», ma le porse la moneta.
La sorella che leggeva il futuro fu una donna non troppo avanti con l’età. Teneva le mani intrecciate e gli occhi chiusi. Una massa di capelli corvini ricci le incrociava il viso pallido. Sedeva dietro un tavolone di legno massiccio abbastanza grosso da invadere l’intera stanza e ricoperto di oggetti di ogni tipo: dalle sfere bianche a quelle nere, da carte che leggevano il futuro a talismani divinatori. Filtrava poca luce dalla finestra rattoppata e questo contribuiva a creare un’atmosfera soffocante e l’aria viziata.
La ragazza si sedette sullo sgabello. Il lupo poggiò il sedere per terra. Ragdad incrociò le braccia al petto, poggiando le spalle al muro. La Divinatrice Osmelia aprì le palpebre.
«Le-» e si bloccò, sbarrando gli occhi. Le unghie verde smeraldo si conficcarono nelle nocche. Pareva le si fosse gelato il sangue. A quella strana reazione la ragazza si girò a guardarsi le spalle, ma non vedendo nulla tornò a guardare dritto.
«C’è qualcosa che non va?» soffiò.
«Di’ solo una parola sulla mia presenza» ringhiò Ragdad, «e ti sgozzo qui, adesso».
Il pelo di Koko si rizzò fino alla punta della coda, ma il lupo sapeva bene come rispettare la presenza dello Spirito. La Divinatrice che non lo aveva mai visto lo capì a sua volta, perché deglutì nervosa e distolse subito lo sguardo dal Demone.
«Perdonami, mia cara, delle volte percepisco il futuro senza volerlo e il tuo mi ha, decisamente, colta di sorpresa» e nel dirlo lo sguardo le sfuggì su Ragdad. Il Demone approvò quell’uscita.
«Allora» cercò di ricomporsi Osmelia. «Ti dirò del tuo futuro».
«Conosco già il mio futuro» disse per la terza volta la ragazza. 
«Ah, lo conosci? Di solito mi capita l’esatto contrario» cinguettò la donna. «Sono curiosa adesso. Perché non me lo racconti?»
La ragazza disse:
«Io sono destinata ad affrontare Gradrisar, lo Spirito Immortale Più Potente Di Tutti I Tempi».
A quelle parole la Divinatrice esalò un sospiro carico di tensione, ma di nuovo provò a ricomporsi. Si aprì in un sorriso di sconcerto.
«Ma mia cara, perché mai ti sei convinta di una cosa simile?»
«Perché io sono l’unica sopravvissuta. Gradrisar mi ha risparmiata affinché io possa ucciderlo in futuro».
«Hai promesso a Gradrisar di ucciderlo e lui ha accettato?»
«Esatto».
Osmelia boccheggiò. Ragdad le mandò un sogghigno soddisfatto; sì, era tutto vero.
«Mia cara» disse a quel punto la Divinatrice facendosi seria, tanto che s’inclinò in avanti. «Hai perfettamente ragione. Non potrai sottrarti al destino che ti sei scelta. Arriverà davvero il giorno in cui tu e lo Spirito Immortale Più Potente Di Tutti I Tempi v’incontrerete. Capisci, adesso, il perché del mio stupore poco prima?»
«Certo lo capisco» rispose la ragazza per nulla turbata. «Come le avevo detto: conosco già il mio futuro» e si alzò dallo sgabello scricchiolante.
«Ti prego, cara, di' a mia sorella Lisia di tornarti la moneta. Non voglio essere pagata per un lavoro non svolto».
La ragazza fece un cenno con la testa e andò via chiudendosi la porta alle spalle, seguita dal suo lupo con il pelo rizzato.
A quel punto Osmelia piantò gli occhi sullo Spirito invisibile che la guardava beffardo.
«Segui quella ragazzina da quel giorno?»
«Da quindici anni, per la precisione» rispose Ragdad.
«Perché mai?»
«Perché quella lì sarebbe morta esattamente tre giorni dopo. Come potrebbe mai affrontarmi se rischia di crepare un giorno sì e l’altro pure?»
«Ma non riuscirebbe mai a ucciderti» soffiò la Divinatrice.
A Ragdad venne da ridere.
«Certo che no!»
«Allora perché? Perché le hai risparmiato la vita, per poi condannarla a una morte ben peggiore?»
«Perché mi annoiavo» fece spallucce. Poi si stiracchiò aprendo le braccia e disse:
«Le vado dietro, prima che si faccia uccidere da un verme di classe B».
Stava per sparire oltre il muro quando Osmelia trovò il coraggio di gridargli contro:
«Come si chiama? Il nome della ragazza, come si chiama lei?»
Ragdad si bloccò con un piede dentro e uno fuori dal muro. Inarcò il sopracciglio.
«Non lo so».
«La segue da quindici anni e non conosce il suo nome?»
Lo Spirito Immortale rimise entrambi i piedi nella stanza. Portò la mano al mento con aria pensierosa. Si grattò dietro la nuca e tornò a fissare il soffitto.
«Non ne ho proprio idea» ammise. «Sta sempre sola. Il lupo si chiama Koko, che nome da imbecille. Però non gli ha mai detto il suo nome. I mercanti la chiamano “ragazzina, bambina, signorina". Quindi, credo di non averlo mai saputo».
 La Divinatrice era rimasta a bocca aperta tutta intontita. Nella sua stanza delle divinazioni stava un vero Spirito Immortale, lo Spirito Immortale. Per la precisione era conosciuto con il nome di Gradrisar, lo stesso Demone che in quel momento stava conquistando tutte le terre del sud con l’appoggio d’innumerevoli casate della peggiore specie. Ma prima di fare guerra nelle terre del sud, esattamente quindici anni fa, aveva scorrazzato per le terre del nord. All’epoca il suo unico scopo pareva essere la distruzione fine a se stessa. Vagava senza una direzione stabilita e non lasciava alcun sopravvissuto dietro.
«Insomma, tu ignori il nome della ragazzina che proteggi da quindici anni» sentenziò Osmelia. Ragdad non parve apprezzarlo perché incrociò le mani sul petto e la guardò torvo.
«E allora?» sbottò.
«Beh, sembra una cosa così stupida» buttò lì la Divinatrice chiedendosi intanto perché mai non si tappasse la bocca.
Gli occhi neri dello Spirito si accesero di rosso. Osmelia trattenne il respiro.
L’indice pallido di Ragdad puntò la Divinatrice.
«Ebbene, lo scoprirò».
Sparì in uno sbuffo di fumo nero.
***
La tappa al villaggio Siron per lei e Koko era obbligatoria. Non tanto per il pesce fresco pescato nelle Acquagrigia o i mantelli svenduti al mercato, sfilati da qualche cadavere nelle terre del sud. No, era per la quantità di missioni disponibili da quelle parti. Oltre il fiume, infatti, si apriva una landa di terre collinari, pochi residui di foreste e nulla di caratteristico ad attirare gli avventurieri. Per questo i mostri di bassa categoria prosperavano da quelle parti indisturbati, tra le terre di nessuno. Lei aveva bisogno di batterli per diventare più forte. Fu per quello che, lasciandosi alle spalle l’emporio Occhio del Futuro e la piazza del mercato, s’inoltrò nel villaggio.
Il Centro Missioni era stato allestito all’interno di un pub che puzzava di pesce marcio e vomito fresco. Dovette farsi strada a gomitate tra i marinai ubriachi e zozzoni di ogni tipo, scavalcare un Demone svenuto per terra e raggiungere così il tabellone. Prese a scorrere con attenzione le pergamene ingiallite. 
Classe A+ e addirittura un classe SS erano i mostri cui si chiedeva di dare la caccia. C’era un classe F, il più basso della categoria, talmente basso che sarebbe stato uno spreco di tempo. Il suo livello era cresciuto abbastanza da affrontare un classe A o superiore. Non avrebbe voluto rischiare troppo, ma poiché non ci fu traccia di mostri C o B si decise a scegliere quello di classe A+.
«Va bene Koko». Strappò la pergamena con il disegno del mostro e lo scarabocchio di una mappa che indicava dove scovarlo. «Ci toccherà battere un bel bestione a forma di serpente gigante!» ridacchiò alle sue parole, ma non avendo risposta si girò. Koko non era dietro di lei come si aspettava. Virò lo sguardo a destra e sinistra, scrutò nella folla del pub, lo chiamò sopra il frastuono. Ma di Koko non c’era traccia.
Una paura come quella che non ricordava di provare da tempo la pervase. Urlò il nome di Koko a ogni angolo del villaggio. Strattonò i passanti chiedendo loro di un lupo nero, ma quelli la spinsero via indignati e certi la minacciarono pure di riempirla di botte. Corse per ben tre volte sul molo, lanciando occhiate all’acqua quasi avesse timore di scorgere il pelo del suo amico. Non lo trovò morto, anzi non lo trovò affatto e quando il giorno ebbe fine, la sua paura si trasformò in disperazione.
Fu con le lacrime che sgorgavano a fiotto che tornò nella piazza del mercato. I commercianti si erano chiusi nei pub a festeggiare le vendite, gli acquirenti erano ripartiti per le loro dimore, le navi da pesca erano andati al sud e quelle dei mercanti di pellicce erano tornati al nord. Esausta per tutte le paure e la folle corsa, si lasciò cadere sul bordo della fontana. Si sporse per raccogliere l’acqua con le mani. Bevve un sorso, ma prima che potesse riprovarci, sentì un verso familiare alle  spalle.
Koko, il suo amato lupo, le correva incontro con la coda tanto agitata da mulinare in aria. Si lanciò su di lui incurante di fargli male. Lo strapazzò tanto da arruffargli il pelo e lui, pieno di gioia, la leccò dalla testa fino ai piedi.
«Sono felice che abbia ritrovato la sua padrona».
Nella frenesia del momento non si era accorta della presenza di una persona. A quel punto guardò oltre il suo lupo e vide un ragazzo o un giovane uomo, non sapeva per certo. Dall’aspetto sembrava avere la sua età, forse poco più. Aveva il viso pallido tipico della razza dei Demoni e gli occhi a mandorla neri come il carbone, anche quella cosa tipica. I capelli, ancora neri, erano scompigliati intorno al collo. Un lungo mantello blu notte lo ricopriva per intero. Lo sguardo però non sembrava affatto di un ragazzo sprovveduto, anzi era tipico degli adulti, di quelli che sapevano come andava il mondo, era uno sguardo da vissuto.
«Sei stato tu a ritrovare il mio lupo?»
Sul viso dello sconosciuto si dipinse un sorriso largo ben definito che a lei ricordò vagamente la forma della bocca dei serpenti. Piuttosto che essere sgradevole, s’incastrava così bene nei lineamenti e con gli occhi scaltri da risultare perfetto. Una fila di denti bianchi e regolari completò un viso che lei definì essere decisamente bello.
«Sì, vagava confuso e in preda al panico questo pomeriggio tra le vie. Seguiva ogni passante. Ho capito che cercava qualcuno, così ho deciso di aiutarlo».
Lei si aprì in un sorriso enorme.
«Ti ringrazio con tutto il cuore! Non sai che piacere mi hai fatto! Posso ripagarti, ho dei denari ancora con me».
«Per così poco» ridacchiò il ragazzo. «Non preoccuparti».
«Koko è tutto ciò che possiedo» disse lei.
«Koko, che nome curioso. Ma non è un vero lupo o forse sbaglio?»
Lei fu contenta che lo avesse capito.
«No, infatti. Koko è una Creatura Divina».
«Sembri ancor più affascinante della tua Creatura» fece lui ammirato. «Se ti circondi di un lupo che lupo non è, chissà quante meraviglie avrai visto! Ti prego, dato che avresti voluto sdebitarti, perché non mi concedi il piacere della tua compagnia e mi racconti le tue avventure?»
Lei coccolò la testa del suo lupo dal pelo sempre rizzato. La giornata era stata pesante e adesso che aveva ritrovato il suo amico si era rasserenata.
«Va bene» si decise. «Ma pago io, te lo devo».
***
Fu così che rimasero nel pub per ben tre ore. Davanti a due bicchieri di birra che erano riempiti ogni volta che si svuotavano, la ragazza raccontò le sue imprese. Lui seguiva i suoi discorsi con estrema attenzione, mentre Koko era sprofondato nel sonno già da tempo.
«La Foresta dei Silenzi, l’hai mai visitata?»
«No, mai» disse lui, «ma ne conosco la leggenda: si dice che sia possibile entrarvi, ma impossibile uscirne. Nessuno è mai tornato da lì».
«Io ci sono entrata» raccontò la ragazza, «e sono pure uscita».
«No, non ci credo» fece lui mandando giù una lunga sorsata. «Se fosse vero, mi potresti dire come se ne esce».
«Ebbene, ero ancora una bambina quando l’attraversai. Avevo sentito delle voci su quel luogo in un sobborgo da cui era passata. Ma non ho mai avuto timore delle voci, figuriamoci dei silenzi. Quando entrai nella foresta, in effetti, era tanto silenziosa da farmi dubitare di aver mai ascoltato il silenzio in vita mia. Era così ovatta e grave, metteva i brividi. Ma poi accadde qualcosa».
Il ragazzo si sporse verso di lei per non perdersi una sola parola.
«La Foresta dei Silenzi, non è affatto in silenzio».
«Che vuoi dire?»
«Le anime intrappolate... loro cantano».
«Cantano?»
«Sì, cantano. All’inizio mi sembrava un soffio, qualcosa di flebile e indefinito. Allora io prestai più attenzione e quel soffio divenne una nota, come una musica. Erano tante voci che cantavano un motivetto e mi facevano sentire triste. Poi le anime si mostrarono a me, volteggiandomi intorno, ballando sulle note della loro canzone. E siccome io li ascoltavo, loro mi condussero all’uscita».
«Ma è straordinario!» sbottò il ragazzo.
«Per uscire dalla Foresta del Silenzio» spiegò la ragazza, «basta ascoltare il silenzio, è questo il desiderio delle anime che ne sono intrappolate».
Il ragazzo si chiuse nei suoi pensieri come a immagazzinare quell’informazione. Quindi tornò a fissarla con meraviglia e le chiese:
«E dimmi, non sarai mica stata nella Valle dei Morti?»
«Sì che ci sono stata. Sono entrata e ne sono uscita!»
«Scherzi? Allora sarai una Guerriera formidabile!»
«Nient’affatto» fu la risposta di lei. «A dir il vero, non credo di poterne uscire se ci tornassi oggi che per lo meno sono diventata più forte».
«Non è possibile uscire dalla Valle se non si è forti» la contraddisse con un sorriso che pareva voler scoprire l’inganno. «Quella Valle ha forgiato i Guerrieri più potenti dalla Genesi dei mondi. Solo il più forte può sperare di superare le orde delle Creature Divine che annidano da quelle parti».
«All’inizio anch’io la pensavo così, e bada bene, se pur fossi piccola non ero tanto stupida da volerci entrare di proposito. Avevo smarrito la strada e mi resi conto di dove mi trovassi solo quando iniziai a essere perseguitata dalle creature. Provai in tutti i modi a difendermi e lottare, ma appena ne abbattevo uno, altri due prendevano il suo posto. Alla fine, esausta, mi arresi. Tanto valeva che mi sbranassero e il più in fretta possibile. Allora abbassai le mani e attesi. Ma non accadde nulla. Sai perché?»
«Non me lo spiego».
«Perché loro combattono solo contro chi li combatte. Quando smisi di lottare, loro smisero di aggredirmi e io potei percorrere l’intera Valle senza che mi sia stato tolto un solo capello».
«Tutto questo ha dell’incredibile!» esalò il ragazzo.
Ma l’attenzione di lei si era rivolta alla finestra dai vetri resi opachi da anni di sporcizia: Il cielo era totalmente nero. Nessuna delle tre lune illuminava il paesaggio. Ebbe un brivido. Non si fermava mai nei centri abitati a notte fonda. Scattò in piedi.
«Mi dispiace, ma si è fatto davvero tardi e io non dovrei affatto trovarmi qui!»
«Il tempo è volato, in effetti. Ma potrei farti compagnia, se temi i mostri della notte».
La ragazza sorrise a quelle parole. Koko si era già rimesso in piedi. Si stiracchiò per bene, si scrollò il pelo rizzato e aspettò che la sua padrona si congedasse.
«Non è necessario, ma ti ringrazio di cuore. Parlare con te è stato molto bello, ma adesso devo proprio andare!»
Non aspettò risposta. Lanciò le monete sul muso del barista mezzo addormentato e con un ultimo cenno salutò lo sconosciuto.
«Aspetta!» lui le corse dietro. Nella notte buia la sagoma della ragazza e il suo lupo erano a malapena distinguibili. «Non mi hai detto il tuo nome!»
«Ah, è vero» la sentì rispondere nella notte. «Allora se ci dovessimo incontrare ancora una volta, ti dirò il mio nome!»

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