1. Prologo: il primo battito

 

 © Irina Boicova, 2020.
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In quella notte buia le grida furono strazianti. I piedi battevano forte sul suolo, inciampavano, i corpi cadevano per terra. Il sangue imbrattava le pareti di legno, gli alberi, l’erba. E oltre quelle urla e grida, richiami disperati e lamenti di agonia, si udiva sovrastare un ruggito basso: il ringhio della bestia. Un sibilo che pareva propagarsi dentro la mente, penetrare fino all’anima.
Nella fuga la bambina inciampò e, come tanti altri prima di lei, si ritrovò per terra. Nonostante il terrore cieco che la attanagliava, osò voltarsi: sua madre cadde poco più indietro e alzò la testa verso di lei, con il viso imbrattato di fango e sangue. I suoi capelli sempre lucidi prima erano adesso arruffati e incrostati. La sua mano si allungò, ma era troppo lontana. La bambina tremò al pensiero di fare un solo passo da lei, verso il mostro. Nell’aria l’ennesimo urlo straziante la fece sussultare, ma subito dopo piombò il silenzio.
Durò un battito di cuore, ma a lei parve infinito.
TUM.
I lamenti cessarono.
TUM.
Quel ringhio, quel respiro pesante e vibrante che solo un mostro ancestrale poteva produrre si fece più forte.
TUM.
L’energia nera della bestia si propagò sopra il corpo di sua madre. Lei lo vide: ciò che pareva avere sembianze umane, con due gambe e due braccia, avanzò. Era il triplo di un uomo; avvolto dalle nubi nere che si dilatavano dal suo corpo, rendendo i suoi contorni sfocati e indefiniti. Gli occhi, ciascuno grosso quanto la sua testa e rossi come brace, ardevano nelle fessure della maschera nera che celava le sue fattezze. Una maschera di ossidiana levigata che si interrompeva appena sotto il naso per lasciare la sua bocca dai denti aguzzi la libertà di divorare.
TUM.
Il braccio del demone si schiantò a terra, contro sua madre. La bambina dilatò gli occhi sulla scena inorridita, sconfitta. Lui si leccò le labbra nere. E gli occhi rossi puntarono sulla sua ultima preda.
TUM.
Il silenzio calò giù come a portarle pace, ma il cuore della bambina batteva furioso. Percepiva il calore invaderle la faccia, le lacrime le pizzicavano gli angoli degli occhi e il terrore le impediva di fare alcun movimento.
TUM.
La bestia, adesso con estrema lentezza come se sapesse di aver quasi finito il suo lavoro, si scostò da ciò che era il corpo di sua madre. Si alzò in piedi. Avanzò. I passi fecero vibrare la terra, come se pure quella ne fosse terrorizzata. Alzò la mano avvolta dal fumo nero contro la bambina. Un ghigno di pura malvagità e soddisfazione si disegnò sotto la maschera della bestia, creando uno strano contrasto tra le zanne bianche come neve e le labbra nere come la notte più buia. L’energia demoniaca si formò nel suo palmo aperto.
La bambina aveva visto gli effetti di quel gesto: Boblin, lo stalliere del villaggio, era stato colpito in pieno e Il suo corpo si era strappato come una vecchia stoffa logora. La bambina era dietro al vetro della sua cameretta, quando tutto ebbe inizio.
TUM.
Non avrebbe saputo spiegare come o perché proprio in quel momento il terrore la abbandonò all’improvviso, lasciandole fare un lungo respiro. Il cuore smise di battere all’impazzata e una strana sensazione di sollievo la pervase, essendosi liberata da tutta quella tensione. Rimase la rabbia. Forse fu quella, forse fu la tipica incoscienza dei bambini o la consapevolezza che tutto fosse ormai perduto. Fatto sta che la bambina si alzò in piedi. La bestia, a quel movimento, abbassò di poco la mano. Gli occhi ardenti la scrutarono tra il curioso e il divertito.
«Tu non mi ucciderai!» gridò con furia.
Una risata maligna sbottò dalla bocca della bestia. Il fumo intorno a lui si contrasse. La mano tornò al suo posto, pronta a colpire.
«E perché mai non dovrei ucciderti?» fu la risposta del Demone dalla voce così profonda da farle vibrare le ossa, come se la attraversasse. Era seguita da mille sussurri delle anime che aveva divorato per millenni.
«Perché sarò io a uccidere te! Quando sarò più grande e più forte, io ti troverò e ti ucciderò!» sbottò con tono la bambina ora non più sorpresa, ma ben convinta delle sue parole.
Di nuovo la bestia rise di lei ancora più forte.
«Allora va’» le fece con ghigno.
TUM.
E disse in tono abbastanza serio da farle tornare la paura:
«Vattene per diventare grande. Quando sarai forte, mi verrai a cercare, per uccidermi».
 Si erse in tutta la sua statura e il tempo di farsi avvolgere dal suo fumo nero scomparve nella notte, lasciandosi dietro un’unica sopravvissuta nel silenzio dei suoi morti.
TUM.

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